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LA BUONA NOVELLA

liberamente tratto dai Vangeli Apocrifi
e da La Buona Novella di Fabrizio De André

Riferimenti letterari

rotovangelo di Giacomo,

Ciclo di Pilato,

Vangelo di Nicodemo,

i libri dell’infanzia di Maria,

 

la Buona Novella di Fabrizio De André

 

Musiche Fabrizio De André

 

Con Bruno Maria Ferraro

 

Consulenza alla messa in scena Ivana Ferri

 

Organizzazione Mary Rinaldi

Assistente di produzione Silvia Demofonti

Produzione Tangram Teatro Torino

 

 

La parola e la musica.

 

Elementi che incontrandosi acquistano forza, raccontano, evocano, scavano solchi profondi, curano ferite.

Ma quando nel Protovangelo di Giacomo, Giuseppe si accorge che il mondo intorno a lui si è fermato, gli uomini, gli animali, il vento sono immobili in un fermo immagine ante-litteram di straordinaria bellezza ed efficacia cinematografica, in quel momento non c’è parola, non c’è suono, non c’è musica. La nascita del Messia è l’inizio del mondo nuovo, nulla, dopo, sarà più come prima.

E allora questa storie, questo particolare momento, vale la pena di raccontarlo restituendo umanità a personaggi bloccati nella loro, un po’ triste, condizione di icone.

E attraverso la loro umanità, nella loro profondità cercare le “nostre” ragioni, i nostri riferimenti.

Percorrere, chi crede e chi no, un tratto di strada, insieme.

Le fonti

 

Due sono i blocchi di riferimento sui quali è costruito questo spettacolo che è a metà tra il teatro di narrazione ed il teatro-canzone. Dai vangeli Apocrifi è tratto il tessuto narrativo, le vicende che ci raccontano del punto di incontro tra l’umano ed il divino. Ma se degli apocrifi conosciamo bene attraverso il Mistero Buffo di Dario Fo il Gesù i paesaggi e i personaggi che circondano l’infanzia di Gesù, decisamente meno note sono le vicende narrate sull’infanzia di Maria, sulla morte e resurrezione di Cristo, fino al sorprendente “Ciclo di Pilato”.

Se ne occupò nel 1968-69 un cantautore trentenne, andando come al solito controcorrente, al quale in sala di registrazione i musicisti, lasciati i leggii, chiesero: “Perché?”-. A Fabrizio De André era solo venuto in mente di raccontare storie conosciute in maniera diversa. Distillando gocce di poesia. E la Buona Novella è il capolavoro poetico di una delle più lucide ed incisive voci del ‘900.

 

Portare oggi quest’opera in teatro, immergendola nelle fonti originali, è per noi orgoglio e privilegio.

 

Lo spettacolo

 

Giuseppe è in cammino,  Maria ha le doglie e lui cerca aiuto. Mentre cammina si accorge che il mondo si è fermato, uomini intenti ai loro lavori, animali che stanno bevendo, il vento stesso è immobile.

Il mondo nuovo nasce così, da una fotografia, la prima, tridimensionale, con Giuseppe che la descrive utilizzando una soggettiva cinematografica.

I Vangeli tutti, canonici ed apocrifi, nascono dal desiderio di testimoniare qualcosa di straordinario, dal bisogno di radicare una tradizione, mescolando rivelazione e storia, speranza e realtà. E nei Vangeli tutti, domina l’impronta della Buona Novella che esprime la potenza divina del Cristo, non soltanto della vita nella morte, ma della vita nella vita.

Nessuno, credente o non credente, riesce a sottrarsi al fascino di vicende che la storia non può contenere, che sollecitano dubbi e paure profonde, così radicate nel nostro immaginario da diventare cardine culturale comune.

Alla periferia dell’Impero, in un angolo anonimo del mondo accade qualcosa che forse è  storia, forse leggenda, dove è superfluo distinguere il vero dal falso. Ma è lì il luogo della costruzione delle nostre speranze e delle nostre paure. E’ lì che si generano i nostri dubbi i nostri tentativi di soluzione, è lì che affondano le nostre contraddizioni.

Ed è lì che inizia un futuro che stiamo ancora percorrendo, tutti nella stessa direzione, poche volte guardandosi negli occhi, quasi mai con la volontà di capire le ragioni dell’altro.

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C’è una frattura trasversale che segna la nostra società.  Una frattura profonda che divide in modo netto ed apparentemente non risanabile due fazioni che pure hanno principi comuni e valori di riferimento comuni.

 

Se come sostiene Don Ciotti non bisogna stancarsi di gettare ponti tra “noi” e “loro” cioè tra “noi” ed il diverso da “noi” altrettanto bisognerebbe non rinunciare a collegare le due sponde occupate da “chi crede” e da “chi non crede”.

 

E’ una frattura fatta di non dialogo, di non disponibilità all’ascolto, di incapacità di uscire da schemi precostituiti e da logiche di appartenenza.  Eppure tra  “noi” e “loro” ci sono valori comuni di riferimento, e soprattutto c’è un origine “culturale” (se questo termine ha ancora  senso) comune.

 

Se il teatro ha ancora, anche in minima parte la capacità di far convergere una parte della comunità in uno stesso luogo e di strutturare un evento condiviso e soprattutto condivisibile, forse lì è possibile creare un’occasione per “guardare l’altro”,  per ascoltare “le ragioni dell’altro”.

 

Non c’è persona ragionevole che voglia apertamente la guerra o la disgregazione della famiglia o l’uccisione immotivata di un individuo o disparità sociali umilianti. Eppure continuiamo a camminare su due sponde dello stesso fiume, nascondendo i dubbi, tesi ad imporre le nostre certezze.

 

I Vangeli Apocrifi e la Buona Novella di De Andrè  sono intimamente interconnessi e sono difficilmente etichettabili, ma facili da capire e da amare.
Forse sono “ ponti”, forse dovremmo solo usarli.

La buona novella
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