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CARO SIGNOR G
dedicato a Giorgio Gaber

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Messa in scena Ivana Ferri

Con  Bruno Maria Ferraro

testi e musiche di Giorgio Gaber e Sandro Luporini

Collaborazione musicale Gigi Venegoni
direzione tecnica Massimiliano Bressan
assistenza tecnica Db Sound Asti
organizzazione Roberta Savian

Una produzione Tangram Teatro con il sostegno

 del Ministero della cultura e della Regione Piemonte

07 30 19 LA STAMPA  IL REPERTORIO DI GAB
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Caro sig. G è uno spettacolo.
Ma in realtà è una lunga lettera scritta e cantata, indirizzata a Giorgio Gaber.
Gaber ci manca. Ci manca la sua ironia, la sua capacità di leggere il mondo. Ci manca “il suo teatro”.

Quello che resta è un repertorio di oltre 300 monologhi e canzoni che sono la fotografia perfetta, acuta, intelligente delle contraddizioni e dei tic dell’italiano medio. Le parole di Gaber (e Luporini naturalmente) sono, a proposito di fotografia, immagini ad alta definizione che più ti avvicini, e più ci entri dentro, vedi dettagli, e ti riconosci e ridi, spesso con rabbia, di te stesso.

Caro Signor G rimette in gioco, su un palcoscenico teatrale canzoni e monologhi, mescola in un disegno unico gli interventi sulla sfera personale, quella dei sentimenti, con gli attacchi  sul piano del costume e della politica.
Porta in teatro un piccolo capolavoro come “La Parola Io” registrata in studio da Gaber  che non ebbe il tempo di inserirla in uno dei suoi spettacoli teatrali.

Tangram Teatro ritorna quest’anno su uno dei suoi autori di riferimento. E lo fa con un nuovo spettacolo proprio nell’anno in cui Giorgio Gaber avrebbe compiuto 80 anni.

“Non c’è nostalgia né rimpianto nella costruzione scenica che con Ivana Ferri abbiamo pensato per questo nostro spettacolo – dice Bruno Maria Ferraro interprete del lavoro – ma c’è  la consapevolezza che Giorgio sia stato e continui ad essere una voce limpida e potente, capace di parlare di sentimenti e di politica come ormai ci stiamo disabituando a fare. Rabbia e ironia sono invece gli elementi dominanti di questo nostro lavoro che vuol essere un omaggio a lui e un regalo a quel che resta dell’intelligenza e del buon senso di questa stropicciata società nella quale tutti noi viviamo”

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Una riflessione su Gaber, sul teatro Canzone, e su cosa ci resta da fare

Ci manca Gaber? Eccome se ci manca. Ci manca il suo sguardo lucido, la sua ironia, anche la sua cattiveria. Ci manca la sua capacità di costruire un gioco di specchi che… mentre lo ascolti, ti vedi. E ti spaventi di te stesso, oppure ti viene da ridere di quell’individuo un po’ goffo, incompleto … che sei tu.

 

Giorgio Gaber e Sandro Luporini hanno, si può dire, “inventato il Teatro-Canzone. 
Attingendo al cabaret, a Jaques Brel, al fermento culturale degli anni 70, Gaber uscì, con una scelta coraggiosa, dai canali di quello che oggi si chiamerebbe show business per avventurarsi su un sentiero particolarissimo. 
Un uomo solo sul palcoscenico racconta e canta. 
Porta in scena un se stesso non filtrato da un personaggio, attacca tutto e tutti compreso sé stesso. 
Costruisce spettacoli che hanno una forza comunicativa ed emotiva straordinaria e un repertorio che, rivisto oggi, è una vera e propria biblioteca dell’uomo contemporaneo. 
Ironia, cattiveria, carisma, sguardo lucido, umanità, sarcasmo, empatia sono le armi al servizio di una professionalità davvero unica.


Il Teatro Canzone ora è un genere accettato e frequentato ma è a Gaber Luporini che dobbiamo il merito di aver aperto quella porta che ci consente una comunicazione con il pubblico diretta ed emotivamente avvolgente. Si, perché la canzone, forse meglio del teatro e a volte anche della letteratura, nell’ultima parte del ‘900 si è imposta come  un mezzo artistico capace di arrivare a tutti e coinvolgere tutti. Mentre la scuola “remava” contro il nozionismo e memorizzare poesie era diventato obsoleto e reazionario, tutti noi imparavamo a memoria le canzoni di Battisti, De Gregri, De André, Bertoli, Vecchioni ecc. ecc.. Era un repertorio condiviso che serviva anche per passare il tempo, ma soprattutto per costruire un’identità nella quale riconoscersi, crescere, condividere. Alzi la mano chi con amici e un’immancabile chitarra non ha mai cantato … la libertà è partecipazione…. E tutti lo abbiamo fatto credendo in quello che stavamo dicendo, cantando. Ecco cos’è il teatro canzone un filo teso su cui scorrono emozioni, informazioni, riflessioni.


Ma non basta. Gaber e Luporini non si sono fermati a dare il loro contributo al mondo della canzone d’autore. Hanno fatto un passo in più. E volgendo lo sguardo al teatro hanno teorizzato il teatro di evocazione. 

 

Negli stessi anni all’interno di una sperimentazione teatrale articolata e a volte anche contraddittoria, ma sicuramente animata dalla necessità di uscire dagli schemi del repertorio e da una funzione bloccata dell’attore, prende forma il teatro di narrazione a cui darà un impulso fondamentale l’esperienza del Laboratorio Teatro Settimo. Laura Curino, Marco Paolini, Gabriele Vacis, Alessandro Baricco, Lucilla Giagnoni e altri, nobilitano e danno forma all’arte del raccontare.

 

Gaber e Luporini in parallelo continuano il loro solitario, ma non isolato percorso riempiendo all’inverosimile i teatri e diventando “un caso”. E giorno dopo giorno elaborano quello che successivamente chiameranno il teatro di evocazione.


"Abbiamo chiamato il lavoro di questi anni 'Teatro d'evocazione' anche se non siamo stati certo noi a inventare questa formula. Chiunque reciti da solo e voglia rappresentare una storia a più personaggi non ci pare abbia molte strade. Non può certo raccontare le vicende come se stesse leggendo un libro. Per arrivare all'emozione del teatro, l'attore, oltre a raccontare, deve rivivere al presente personaggi e fatti che sono nella sua memoria. Questa tecnica rende vive le situazioni come se stessero accadendo e la tempo stesso lascia molto spazio alle riflessioni, cioè ai monologhi. […] Nelle nostre rappresentazioni di prosa, i temi si differenziano un po' da quelli del 'Teatro canzone' dove vengono affrontati spesso problemi più specificamente sociali. In queste tre opere scompare infatti completamente tutto ciò che appartiene al mondo della politica (dalla satira all'invettiva) per dar posto a un'analisi sulla nostra esistenza. Anche se molto spesso la visione di noi stessi e del mondo è piuttosto critica se non addirittura catastrofica, ci conforta la speranza che dal vigore con cui emergono certe rabbie dell'individuo possa trasparire un'energia interiore quasi inconscia. Insomma, l'uomo, anche suo malgrado, vuole vivere".  (Giorgio Gaber – Sandro Luporini)

 

Cosa rimane oggi?

 

Gli anni 70, con le loro enormi contraddizioni, ci hanno portato ad una società migliore. Più giusta, con diritti conquistati a fatica ma irrinunciabili. Diritti civili, sul lavoro, di famiglia, di parità tra generi, di accesso all’istruzione , alla cultura. E volendo continuare, l’aborto, il divorzio ecc. Nulla di concluso o di definitivo ma un percorso iniziato che portava e porta in quella direzione. 

Adesso non si capisce più nulla, tutti strillano e urlano le loro ragioni. Difendiamo i nostri confini fisici e mentali con un accanimento sproporzionato e acritico. Stiamo giocando una partita di calcio con l’unico obiettivo di dare calci alle caviglie dell’avversario, di accanirsi contro l’arbitro, di insultare chiunque si metta tra noi e la nostra ragione. Ma abbiamo dimenticato che stavamo giocando per mandare la palla in rete…. Anzi, dov’è la palla?. Non importa… continuiamo…

Riprendere in mano il repertorio di Gaber e Luporini è una boccata di ossigeno. Le canzoni e i monologhi più datati, ma soprattutto gli ultimi quelli che vanno dal metà anni novanta al 2002.

 

Sandro Luporini all’osservazione che quei testi e quei monologhi sono di un’attualità impressionante rispondeva poco tempo fa, che forse il mondo in questi ultimi anni è rimasto fermo e così loro sono sempre attuali. Difficile dargli torto. 
Resta il fatto che se noi recuperiamo la voglia, la forza, il piacere di condividere storie e canzoni, dal vivo, in quello spazio straordinario che è il teatro, dove la gente si siede, condivide ragionamenti ed emozioni,  … insomma partecipa, facciamo del bene a noi e a una società obiettivamente malaticcia e allo sbando.  Una medicina che non ha controindicazioni e che fa bene al cuore, all’intelligenza e a quella pancia alla quale ormai affidiamo le nostre rabbie e le nostre paure.

FDA nella foto Bruno Maria Ferraro (ph M
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